Quando non ce la fai più, quando tocchi il fondo più fondo e non vedi il cielo, è possibile che venga un gatto ad aiutarti? Sì, se il gatto è l’arte, l’intelligenza, che diventano le uniche risorse, le serve del padrone, abbandonato dal padre e rimasto solo al mondo. Questo Gatto è la messa in scena di una rivincita, di una risalita per gradini che sembravano insormontabili. Il Gatto è un unguento benefico che lenisce la sfortuna, la neutralizza con frustate di creatività e ingegno. All’autore-regista sono scappati gli attori, perché il pubblico è violento e ignorante. Ma lui non si arrende, e gli spettatori da nemici diventano complici. Perché la sua forza, l’energia per risalire dall’abisso della disperazione è contagiosa. E’ la verità che dà la forza di arrampicarsi fino al cielo. E la risalita diventa divertente, su per quelle scale che sembrano non finire mai. Il comico vince sul dramma. L’acrobazia diventa poesia del gioco tra i personaggi, uniti nella sfida per il riscatto dalla povertà alla ricchezza.
Il Gatto è il paladino dei meno fortunati, una lezione di coraggio. Ma è anche l’artista al servizio dell’arte che inventa la vita meglio della vita stessa.
“Non dire gatto se non l’hai nel sacco”, recita il popolare proverbio. Ma se si tratta di un furbissimo gatto con indosso un robusto paio di stivali, tutto si capovolge e sarà lui a riempire il sacco di allettanti prede e di ingegnose trovate fino ad ottenere una magnifica fortuna.
Il tema del riscatto dalla povertà alla ricchezza (materiale e morale) è al centro della storia a dimostrare, a sognare che le qualità della libertà, della fantasia astuta e del divertimento creano l’impossibile e realizzano l’idea audace anche a partire da una situazione di svantaggio.